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lunedì 29 giugno 2015

IL "CUORE SATELLITE" DI PIERPAOLO MANDETTA

Spesso leggo romanzi di autori contemporanei in cui i giovani protagonisti vivono in grandi metropoli e trascorrono le loro giornate tra esclusivi eventi mondani e sessioni sfrenate di shopping. Difficilmente trovo storie più “comuni”, di giovani di provincia, meno glamour magari, ma più sincere. Cuore Satellite di Pierpaolo Mandetta è un esempio di romanzo “sincero”, dove ad essere raccontata è la provincia italiana. Il protagonista, Paolo, è un giovane di 27 anni che vive a Salerno, con un’amica che cucina per lui e un fidanzato che lo ama. Rimanere in provincia, nel suo caso, non è quindi una necessità, ma una scelta. Scelta fatta anche dall’autore del romanzo, che dopo aver frequentato la Scuola Holden di Torino e provato a vivere a Milano e Bologna, è tornato a Paestum, nella provincia campana, fiero di essere un “ragazzo di campagna” come tanti. Un ragazzo di campagna sui generis, che scrive racconti erotici gay e bisex, Aperti di notte, a cui Vita da KreTine ha deciso di dedicare un post. Un’intervista in cui Pierpaolo ci parla del suo nuovo romanzo e non solo, proprio come piace a noi KreTine.






Cuore satellite è la storia di Paolo, un ragazzo che come tanti vive in provincia, ma non per necessità, bensì per scelta. Una “stranezza” in un’epoca in cui i giovani fuggono dalla provincia per dirigersi nelle grandi città. La scelta di Paolo è poi anche la tua scelta: cosa ci fa un giovane scrittore a Paestum? Come trascorre le sue giornate e dove trova gli stimoli per le sue storie?

Fammi prima dire grazie per questa intervista, ne sono davvero onorato. Sì, la mia scelta è stata rimanere qui, in paese, e non è stata facile. Ho sempre invidiato la vita eclettica, divertente e stimolante dei ragazzi di città, mentre in paese mancano cultura, divertimento, quel sesso a domicilio h24. Ho provato più di una volta a trasferirmi prima a Torino, poi a Milano e Bologna, e ne sono uscito sempre depresso. Alla fine ho accettato di essere un ragazzo di campagna che adora starsene per fatti suoi. Le mie giornate son semplici. Lavoro nel bar dei miei, coltivo piante e fiori in cortile, vado in bici per campagne, mangio quantità preoccupanti di pasta e pizza, e scrivo romanzi.


Cuore satellite è anche il racconto dell’omosessualità vissuta nella provincia italiana. Se i giovani fuggono da contesti piccoli e spesso arretrati, la tendenza riguarda ancora di più i giovani omosessuali, che cercano nella grande città la libertà di potersi esprimere. Come vivi la tua omosessualità in provincia? E quali sono gli stereotipi contro cui ti scontri più spesso?

I problemi della provincia cominciano presto per chiunque, quando vuoi limonarti il tuo compagno di classe in camera senza che tua madre lo scopra, ma tanto lo farà. Quando vuoi vestirti come ti pare, ma tuo padre e i suoi amici ti guardano storto. Quando sei il più sensibile e carismatico della scuola e quindi ti chiamano ricchione. Perciò a 18 anni non vedi l’ora di mandare tutti a fanculo e fuggire in una qualsiasi città, in cui nessuno ti conosce e la gente è troppo occupata ad esaurirsi coi mezzi pubblici per poter essere impicciona. Io ho fatto delle scelte strane. Ho vissuto da timido e isolato per sfuggire all’ostilità, rinunciando a molti anni che altrove avrebbero potuto essere felici, per poi capire piano piano che la gente ha paura di quello che nascondi, non di quel che fai alla luce del sole. Quando la gente capisce che fai le cose ordinarie che caratterizzano la vita di chiunque, allora la tua vita conquista un equilibrio, ovunque tu sia.
Con questo romanzo, Cuore satellite, ho voluto creare un personaggio che non avesse particolari problemi a vivere la propria omosessualità in un contesto ristretto come Salerno, ma che anzi riuscisse a vederne gli aspetti positivi, seppur pochi. Giornate placide, vicine che preparano la pasta, la natura intorno, la comicità degli anziani, delle cassiere, dei vicini di casa.


Hai pubblicato una raccolta di racconti erotici gay e bisex, Aperti di notte. Le persone a te più care, penso alla famiglia in primis, hanno letto i racconti? E come hanno reagito?

Rido sempre a pensarci. Beh, no. Tengo i racconti erotici ben lontani dalla famiglia. Mia madre sa che li scrivo. Povera, ormai da me si aspetta di tutto. Mio padre non ne ha idea. Gli amici gay li leggono con piacere. Gli amici etero mi vedono come un pornografo.


In questi giorni sono ancora vive le polemiche post Family Day, in cui si è celebrato un ideale di “famiglia tradizionale” che ormai non esiste più. Questi sono anche i giorni del Pride, con la sua nuova formula itinerante in vari centri italiani. L’Italia si conferma sempre più Paese delle contraddizioni: pensi che un giorni si arriverà a quel sospirato cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno? E vorresti un giorno metter su famiglia e come la immagini nel caso?

Ma certo che si arriverà. Ci siamo già arrivati. Lo viviamo tutti i giorni, anche se i media continuano a far credere che sia tutto ancora in divenire. Le famiglie sono già allargate, divorziate, distrutte, gay, etero, strane. Il bello della normalità è che in ognuna di esse scalpitano amore e dolore, con una madre e un padre, con un’anziana e i suoi gatti, con due padri, con una vedova e i suoi figli, con una coppia di amici rimasti senza parenti. Qualsiasi cosa crei legami è famiglia. E questo spaventa molto gli ignoranti, perché ci vogliono grandissima sensibilità e intelligenza per accettare tutto ciò che è alternativa. L’odio che urla questa (poca e grottesca) gente del FamilyDay è solo il rigurgito terrorizzato di un branco di idioti plagiati dalla Chiesa, aggrappati alla disperazione di non potersi più sentire un po’ privilegiati e al sicuro. Perché ammettere l’amore per tutti non farà che svelare quanto marciume si nasconde nelle tantissime famiglie “tradizionali” italiane, in cui l’ignoranza spinge le donne a fare le schiave, gli uomini ad andare a mignotte convincendosi che non sia vero, i figli a crescere violenti e inquadrati. E loro lo sanno. Non vogliono altro che credersi ancora felici, furiosamente, con l’ausilio di una specie di sagra del patetico e striscioni medievali. Ma noi tutti sappiamo da dove veniamo, e in quante delle nostre famiglie “tradizionali” non c’è stato amore. I diritti civili saranno importanti perché spingeranno le persone a chiedersi davvero, con lucidità, se vogliono una famiglia e se sono pronti a dare amore, invece di crearsene una semplicemente solo perché lei è rimasta incinta a diciotto anni.
Io, dal canto mio, non credo che saprei prendermi cura di un figlio, perciò resto coi miei figliocci alternativi, i miei fiori, a cui do tutto l’amore che posso.


Dopo Cuore satellite hai già pensato ad un nuovo romanzo? Qualche anticipazione per le Kretine curiose…


Sto ricostruendo il mio romanzo di esordio, Vagamente suscettibili, pubblicato da una piccola casa editrice tre anni fa, per poterlo ripubblicare in autunno. Non vedo l’ora, perché sarà ambientato a Bologna, con tre personaggi gay ed etero davvero “KreTini”!

venerdì 26 giugno 2015

EL SABATONE DE TOBIA LAMARE

Per chi non conoscesse El Sabatone di Tobia Lamare, trattasi di una delle serate più cool dell’estate salentina. Non troverete musica “commerciale”, “quella bella di oggi”, ma una selezione vintage, in genere anni ’60 e ’70, molto rock’n’roll. Il bello del Sabatone sta però negli episodi che accadono durante la serata: e a noi KreTine ne sono capitati tanti!
Una volta in preda ai fumi dall’alcool presi a schiaffi un ragazzo che aveva osato dare uno spintone ad un’amica. Un’altra invitavamo i ragazzi presenti (i più carini) a togliersi la maglietta e a baciarci tutte. La più bella fu quella in cui un ragazzo ci mostrò la particolare conformazione “a fungo” del suo membro, il tutto su un pedalò.
Il mistero maggiore per me è rimasto quelle delle banane, il simbolo della serata. Per risolvere questo ed altri misteri ho deciso di intervistare il padre del Sabatone, Tobia Lamare, per ricordare con lui i momenti più strani di 10 anni di serate e celebrare il ritorno del più grande retro party della costa.





Anche quest’anno riparte come di consueto il Sabatone. Questo però è un anno speciale perché ricorrono i 10 anni dalla nascita. In 10 anni quali sono stati i cambiamenti maggiori che hai riscontrato nel “tuo” pubblico? E guardi con nostalgia a 10 anni fa o preferisci il Sabatone di oggi?

Diciamo che in dieci anni il pubblico ha avuto tempo di conoscersi, accoppiarsi e riprodurre. Ci sono state diverse generazioni di Sabatone. Ovviamente la prima è quella che mi seguiva negli anni ’90, quando ho iniziato a esibirmi come dj. Sono facce che non dimenticherò mai anche perché legate a momenti di trasformazione della nostra provincia dove artisti, promoter e pubblico provavano a cambiare le sorti delle notti salentine, cercando spazio per la musica “alternativa”. Se El Sabatone dura da dieci anni direi che l’operazione è riuscita e le generazioni che sono venute dopo  hanno sempre la stessa carica e voglia di ballare.
Fortunatamente ho avuto sempre un pubblico “colto” ed esigente a cui non bastava semplicemente una selezione di grandi classici, ma ha sempre preteso ricerca se non novità.
La nostalgia è qualcosa che mi appartiene a prescindere. E’ una componente credo comune a tutti i fan degli Smiths e della musica prodotta negli anni ’60 e ’70. Chi viene al Sabatone cerca il passato nel presente. Non sono nostalgico delle mie stesse esperienze, ma degli anni che non ho potuto vivere. Ho sempre tanto entusiasmo nel ricercare nuovi (vecchi) dischi e di vedere come reagisce la pista. C’è ancora un mare di 45 giri davanti a noi…


Sicuramente in 10 anni di serate ti saranno capitati episodi strani (a noi  KreTine tanti, perciò amiamo il Sabatone): ne ricordi qualcuno in particolare?

Una volta  una coppia è stata sorpresa all’alba mentre amoreggiava su una sedia vicino al bagnasciuga e ignara ha continuato a copulare per un’oretta. Quando si sono alzati dalla sedia e si sono girati verso il lido, hanno ricevuto un meritato applauso da tutta la pista.
Un’altra volta mi hanno chiesto se le banane le producevo io, un’altra  mi hanno chiesto se si potevano comprare. Un’altra volta c’era una “rockstar” italiana molto conosciuta scocciata perché non se lo filava nessuno.
Qualche volta si sono fermate delle barche a vela e sono arrivati in canotto alla festa.
Ma le cose più incredibili le avete vissute voi che ballavate, magari poi me ne raccontate qualcuna.


Il Sabatone ha ospitato grandi ospiti musicali. Personalmente ricordo una serata con Erlend Oye dei Kings of Convenience alla consolle. Cosa dobbiamo aspettarci per il decimo anniversario? Su, dacci qualche anteprima Tobia!

Sì, in realtà Erlend aveva suonato qualche ora prima a Lecce con i K.O.C. e fortunatamente ero riuscito ad aprire il loro concerto con un set acustico. Dietro il palco avevamo scambiato due chiacchere e gli avevo dato un invito del Sabatone. Dal palco lui dice “e dopo andiamo tutti a Sabatone…the biggest retro party of the coast”. Così si presenta e mi chiede di mettere due pezzi. Così ci fa ascoltare e ballare in anteprima il suo singolo “La prima Estate”.
Quest’anno, mie care KreTine, gli ospiti già confermati sono grandiosi. A luglio avremo tanti ospiti dall’Italia: SoulKitchen Roma, We Love Surf, Alessandro Sciarra, Goffry. Ad agosto da Londra avremo la scuderia della Acid Jazz Records: Dean Rudland, Snowboy che tra le sue collaborazioni vanta Amy Winehouse e Mark Ronson, e Eddie Piller che è stato il produttore che ha scoperto Jamiroquai.


Secondo te, si può definire il Sabatone una serata "friendly", data la selezione musicale e il pubblico che attira?

E’ una serata in cui ogni persona è libera di essere se stessa. Questo penso sia il presupposto di una serata friendly. Credo che negli anni lo sia diventata sempre di più, anche grazie alla selezione musicale e alle icone che regnano nel Sabatone. Per molti anni, a Londra, che è il posto in cui ho imparato il senso della parola party, ho frequentato esclusivamente club vintage e feste gay perché erano le serate in cui mi divertivo di più e mi sentivo anche più libero. Penso che naturalmente le due esperienze abbiano influenzato il Sabatone nella stessa misura. Sono felice se El Sabatone è riconosciuta come una festa friendly, perché significa che c’è una bella atmosfera che non ha bisogno di etichette, ma solo di gigantografie di Magnum P.I.


Per concludere, il “grande perché” delle KreTine. Perché hai scelto come simbolo del Sabatone sua maestà la banana?


L’ultima volta che Lou Reed ha suonato a Lecce era di sabato sera. Volevo fare un’installazione per rendere omaggio ai Velvet Underground, Andy Warhol e la pop art. Così ho appeso 40 kg di banane per il Buena Ventura.  E’ divertente, per chi vuole malizioso, ed aiuta a riprendersi dopo aver bevuto un po’. Potassio forever.

lunedì 22 giugno 2015

UN’ESTATE COSÌ, CON I CRIFIU

Se i tormentoni estivi sono causa di orticaria per voi e vorreste strozzare con le vostre mani gli autori dei vari Asereje e Chihuahua, allora siete nel posto giusto. Oggi parliamo infatti di Un’estate così, il nuovo singolo dei Crifiu, che nulla ha in comune con i tormentoni estivi, anzi. La canzone contiene richiami alla poesia di Bodini, il tutto arricchito da un mix di suoni e atmosfere tra pop e world music. Il singolo anticipa l’uscita del nuovo album della band salentina, a tre anni dal precedente Cuori e confini, del 2012.
In attesa del nuovo lavoro, abbiamo quindi intervistato i Crifiu per avere qualche anticipazione: un’esclusiva made in KreTine insomma! 





Da poco avete lanciato il nuovo singolo Un’estate così, un brano che racconta l’estate più bella, quella immaginata e sognata, tra world music e riferimenti alla poesia di Bodini: volete lanciare una nuova idea di “hit estiva”, dai contenuti elevati e musicalmente meno “facile”?

Ci fa molto piacere vedere nella domanda la parola "contenuti", perché nel nostro "dire" musicale non sono mai stati marginali. Il riferimento letterario non è casuale; volevamo raccontare un sud antico e cosmopolita, mediterraneo, luogo interiore e aperto al mondo, e per questo Bodini, il cantore del Sud, è stato il nostro "poetico timoniere". Non sappiamo se diventerà una hit estiva, anche se preferiamo il termine "tormentone intelligente", ma noi abbiamo lavorato molto, come facciamo sempre per donare al pubblico un lavoro di alta qualità, che viaggia tra i suoni e le atmosfere del Mediterraneo, tra pop e world music. Speriamo sia all'altezza delle loro aspettative.  


Un’estate così anticipa l’uscita del nuovo album, che avverrà in autunno, a tre anni di distanza dal precedente Cuori e Confini (2012, Divinò/Goodfellas), l’album che vi ha lanciati e che ha unito successo di pubblico e di critica. Potete darci qualche anticipazione sul nuovo progetto discografico? Sarete di nuovo prodotti da Kaba Cavazzutti?

Cuori e confini ha consolidato una squadra di lavoro ben affiatata, che ha ripreso nuovamente a camminare sul sentiero di un nuovo disco. Il capitano è sempre Arcangelo Kaba Cavazzuti (ex Vasco Rossi, Biagio Antonacci, Modena City Ramblers), che guida le nostre scelte artistiche. Il disco avrà, come ormai è nello stile Crifiu, un connubio di suoni che viaggiano tra pop, rock, elettronica, world music e melodie mediterranee. Noi siamo pieni di entusiasmo per ciò che stiamo realizzando e non vediamo l' ora di condividere insieme a tutti questo nuovo pargoletto.  


Rock & Raï è sicuramente il vostro inno: sonorità e ritmiche maghrebine su un loop dance per celebrare la rinascita culturale del Nord Africa e quel Mediterraneo che ci divide. Ogni giorno assistiamo a tragedie proprio in quel mare che avete cantato, storie di migranti disperati: cosa ne pensate delle polemiche italiane sul tema dell’immigrazione? E nel nuovo album ci saranno riferimenti a temi sociali?

In realtà quel Mediterraneo deve unirci e non dividere. Il mare è un tappeto che da sempre unisce le diverse sponde. Con Rock & Raï cantiamo la necessità dell' accoglienza, la forza indispensabile dell' affetto che dobbiamo nei confronti dell' altro, la voglia di alterità che serve anche a conoscere noi stessi, il ripristino di armi pacifiche come la gentilezza e sopratutto la comprensione. Bisogna stare attenti a chi cerca di utilizzare la vita, già di per sé sfortunata di alcune persone,  per costruire un nemico. Al di là del confine c'è sempre una scoperta, una nuova sfida che porta coscienza, e che ci fa capire che il futuro si può scrivere solo in un  mondo che ha una vocazione cosmopolita.
Anche nel nuovo disco si toccheranno temi sociali; dal sopracitato tema dell' accoglienza, a quello del lavoro, dall' ambiente fino a temi universali come la speranza e l' amore. Ci saranno delle nuove visioni ed osservazioni molto interessanti.  


Quest’anno avete tenuto un concerto speciale a Cracovia in occasione della Giornata della Memoria, raggiungendo la Polonia con un gruppo di ragazzi e condividendo con loro l’esperienza del Treno della Memoria: cosa vi ha lasciato questa esperienza? E quali ricordi vi siete portati dietro?

Quest' anno siamo risaliti sul Treno della Memoria, perché la nostra prima esperienza con i ragazzi di Terra del Fuoco fu nel 2005. E' un qualcosa di profondamente forte incontrare con gli occhi i resti di uno scenario tragico, orrendo, a tratti indescrivibile. Calpestare la neve in quel silenzio ti fa sentire la vita che trema nel profondo delle viscere. I campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau sono delle macchine di morte studiate con una precisione da far tremare il cuore. E' sconvolgente vedere quanto dolore alcuni uomini hanno causato a dei loro simili. Queste esperienze sono necessarie per diventare, anche se  nel proprio piccolo, testimoni. Non bisogna dimenticare che spetta a noi costruire il domani, e per questo la memoria è indispensabile.



Siete saliti sul palco del Concertone del Primo Maggio, avete suonato allo Sziget Festival di Budapest, il più grande festival musicale d’Europa e più volte vi siete esibiti alla Notte della Taranta: vi siete abituati alle grandi platee o il grande pubblico vi crea ancora ansia?

Nella vita che abbiamo scelto il palco ricopre un ruolo importante. Per noi è sempre un' esperienza nuova, perché la gente che viene a vedere i nostri concerti ci dona sempre diverse emozioni,  per questo non si può parlare di abitudine, ma di "sempre nuovo". Ma a voi di Vita da KreTine confessiamo una cosa: i Crifiu sono una banda di timidi che ha imparato a  convivere molto bene con il palcoscenico.


Per concludere, come si prospetta l’estate dei Crifiu? Sarete in giro a suonare?     


Ormai siamo da molto tempo in perenne tour, quindi la nostra estate ci porterà ancora a fare ciò che sappiamo fare meglio: vivere la strada. Abbiamo da poco finito un giro nel Salento, con degli show-case, che ci hanno permesso di presentare il nostro nuovo lavoro e abbiamo già toccato alcune città italiane con i nostri live. Ma il calendario di appuntamenti è ancora lungo e pieno e ci porterà su e giù per lo stivale.



sabato 20 giugno 2015

CHI HA PAURA DEI MADONNARI?

Dopo il Cristianesimo, l’Ebraismo, l’Islam e l’adorazione delle foto in costume di Nick Bateman, esiste una forma di culto che spesso sfocia in vero e proprio fanatismo: il culto di Madonna! Le origini del Madonnismo vanno ricercate negli oscuri anni ’80, quando abbinare i colori in maniera razionale non era un problema da porsi. Tale culto ha come oggetto di adorazione Louise Veronica Ciccone, la cui vita e le cui opere vengono studiate dagli adepti in maniera maniacale. Il culto prevede infatti che non ci sia disco che non sia degno di essere ascoltato, o numero di Vogue in cui lei appaia che non vada letto. Oggetti comuni che assumono un’aura di santità se riportano la sacra effige della regina Madge e per questo meritevoli di adorazione. Il Madonnismo non prevede una forma di critica: il verbo cantato della sua creatrice NON DEVE essere messo in discussione! Anche il minimo appunto a un disco riuscito male o ad un outfit sbagliato può essere meritevole di lapidazione e messa al bando dalla comunità dei Madonnari.

L’ultimo caso di "fanatismo cicconiano" riguarda noi. Invece di condividere sulla nostra pagina l’ultimo video “Bitch I’m Madonna”, optiamo per un classico “Into the groove”. A questo accompagnamo uno stato in cui ci chiediamo perché ostinarsi a giocare il ruolo dell’eterna ragazza quando hai anni di onorata carriera alle spalle e puoi assurgere al ruolo di icona, senza dover per forza scimmiottare le varie teen idols Miley Cyrus e Charlie XCX di turno. La critica a sua Maestà mi è valsa messaggi privati di amici Madonnari, accompagnati dalle minacce più assurde: dalla pubblicazione di mie foto compromettenti ai tempi delle medie, con indosso tute in acetato multicolor, alla condivisione sulla mia bacheca Facebook di video di cantanti neomelodici, tipo Gianni Celeste o Maria Nazionale.

CHI HA PAURA DEI MADONNARI? Io no, anzi. Ho deciso quindi di rincarare la dose con questo post in cui invito esplicitamente Madonna a ritirarsi dalle scene. O meglio a non rovinare tutto quello che di buono ha fatto in passato (e c’è tanto di buono nel suo passato, da Vogue a Take a bow, da Frozen a La isla bonita) continuando ad inseguire il mito dell’eterna giovinezza. Prima di lei ci ha provato Michael Jackson e i risultati sono stati quelli che conosciamo tutti. Gli sculettamenti scollacciati lasciamoli alle ragazzine! Quando ho visto “Bitch I’m Madonna” ho avuto la stessa sensazione di smarrimento che provo nel vedere le cinquantenni d’assalto che d’estate ballano sui tavoli per poi lanciarsi ubriache sui giovani ventenni, con tanto di rimmel sbavato e tacchi vertiginosi in mano. Le grandi dive del passato lo sapevano bene. Ad un certo punto della propria carriera, in genere nel punto di massimo splendore, bisogna ritirarsi dalle scene e farsi rimpiangere: Greta Garbo docet!

Perciò, sua maestà Madge, le KreTine consigliano un “ritiro spirituale” per non compromettere anni ed anni di onorata e venerabile carriera. Agli amici Madonnari, invece, l’invito a non chiudersi nel cieco fanatismo, assumendo invece un atteggiamento critico nei confronti del proprio idolo pagano. Detto questo, sto preparando la piazza per la mia prossima pubblica lapidazione a colpi di Smemoranda e zeppe glitterate. Nel caso ricordatemi così: KreTina e contenta, ma mai FANatica! 


    

mercoledì 17 giugno 2015

LA MODA ETICA DI GROUNDGROUND

Se la moda lancia un messaggio sociale e non si limita alla semplice cura maniacale dell’esteriorità, allora siamo di fronte ad un esempio di moda etica. Se il messaggio in questione è green, “back to the earth”, un invito a tornare alla terra e a quella natura primordiale da cui tutto ha origine, allora stiamo parlando di GroundGround, marchio creato dalla giovane stilista Silvia Dongiovanni. Abbiamo apprezzato le sue creazioni in occasione dell’ultima Lecce Fashion Week e abbiamo deciso di intervistarla, incuriositi dal tipo di messaggio lanciato. Trasformare la parola in immagini: è questo il senso della moda e dell’arte in generale. Lanciare messaggi forti dà ancora più senso a quest’arte che sta cercando di liberarsi dagli stereotipi che la accompagnano e da quell’aura di superficialità che circonda il mondo della moda.





GroundGround lancia attraverso la moda un messaggio sociale: la necessità di tornare alla natura, alla terra. È quindi da annoverare tra gli esempi di moda etica. Cosa pensi di questa nuova tendenza del mondo della moda? E pensi che riuscirà a crescere anche in Italia, la patria delle grandi griffe storiche e troppo spesso restìa ad ogni forma di cambiamento?

E’ spiazzante sentir parlare di GroundGround come un esempio di moda etica… è bello notare come il messaggio che la collezione urla giunga al sentire degli occhi come quello che effettivamente è: un racconto sociale. Siamo piccoli, e forse proprio questo ci rende spontanei e fanciullescamente etici come dei bambini alla scoperta del mondo, che si affacciano con immediatezza e senza filtri all’ universo dei grandi, urlando, piangendo, ridendo rumorosamente, osservando, scrutando e chiedendo “perché?”.
Le realtà etiche nel panorama fashion italiano sono già numerose, le iniziative a favore di questa necessità ( mi rifiuto di definirla “tendenza”) aumentano di stagione in stagione, basti pensare al consolidato progetto di AltaRoma, Ethical Fashion, a favore della creazione di realtà economiche sostenibili, o al più recente  Fair & Ethical Fashion Show, che a Milano ha ospitato artigiani  che operano applicando i principi del commercio equo, rispettando l'ambiente e i diritti dei lavoratori e produttori di vestiti, tessuti e accessori…
Ho anche notato quest’anno una maggiore partecipazione italiana alla rivoluzione fashion del web, il Fashion Revolution Day, alla seconda edizione. Gli stimoli, gli input ci sono, l’Italia è la patria della lentezza, ma qualcosa, seppur (ahinoi) lentamente, si muove.


Come nasce l’idea di GroundGround? Hai trovato subito terreno fertile per il tuo marchio o hai dovuto affrontare le difficoltà tipiche di un giovane che cerca di imporsi in Italia?

GroundGround nasce ad agosto dello scorso anno. E’ figlio di una grande delusione, della voglia di fare e di sfatare il mito di una generazione inetta… se risultiamo inetti è perché veniamo nutriti a pane e inettitudine da chi ci vuole rendere innocui, e non vuole scollarsi da sedie, scrivanie, denari fissi. GroundGround utilizza la metafora della terra, del lavoro faticoso nei campi, al quale assisto da bambina, essendo figlia di un instancabile contadino, per raccontare di giovani che lo cercano il lavoro, lo vogliono… e lavorano per lavorare, per soddisfare il paradosso dell’“esperienza” richiesta per essere assunti. Il lavoro, la fatica, il sacrificio, il lavoro di menti, di arti è la vera cura per tutti i mali. Il lavoro crea, non solo materia e materiale, non solo denaro e cibo per sfamarci, crea scambio, relazione, convivialità, collaborazione… in dieci mesi di GroundGround sono nate amicizie, importanti collaborazioni, e sono fiera di annoverare tra queste la più importante per il marchio, quella con Antonio Cavallo, un purosangue della grafica, dell’illustrazione, della fotografia e del video… senza di lui GroundGround ora sarebbe artisticamente fermo alla scorsa estate.
Le difficoltà di un giovane che cerca di imporsi in Italia… ho già risposto, vero?


Di recente hai partecipato alla Lecce Fashion Week, che ha puntato fortemente sui giovani stilisti pugliesi. Qual è il tuo pensiero sul sistema moda in Puglia? E sogni un giorno di raggiungere i grandi centri della moda (Milano, Parigi, New York)?

Lecce Fashion Week crede nei giovani e in una nuova moda possibile. Elisabetta Bedori ha creduto e crede in me e in tanti altri creativi emergenti. Il weekend della moda pugliese è una due giorni di sfilate, ma una vita di preparazione e crescita. I grandi della moda sono in prima fila e osservano quello che abbiamo da offrire… se c’è del buono, non se lo fanno scappare.
A Milano abbiamo già messo un sassolino, e sono in serbo delle bellissime novità… i piedi per terra, facendo attenzione a non spostare quel sassolino, sono sicura che ci aiuteranno a concretizzare e a soddisfare le aspettative di chi crede in noi.


I social media costituiscono un mezzo di promozione importante per i nuovi marchi della moda. Come si pone GroundGround con il mondo social? E se potessi trovare un selfie vip con un tuo capo, quale personaggio dello showbiz sogneresti veder indossare GroundGround?

Sono figlia di Eidos Communication, il master romano in comunicazione e giornalismo di moda… la promozione social è il primo comandamento di GroundGround. Tutto è partito dai social e tutto continua sui social… siamo su Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest, Google+, Youtube… e veicoliamo tutto attraverso parole e immagini… proprio come sui nostri capi: uno slogan, un’immagine e avanti così!
Vorrei che un capo GroundGround venisse indossato da chi ci crede e porta avanti la nostra stessa filosofia, vip o non-vip.
Adoro Marion Cotillard… Marion, vuoi vestire GroundGround?


Per concludere quali sono i progetti futuri di GroundGround?

Continuare a lanciare i nostri messaggi di lavoro, ritorno alla natura, ripresa dal basso… crescendo nella ricerca stilistica e offrendo dei capi originali e belli da portare, oltre che significativi.









lunedì 15 giugno 2015

FORMER DI SOFIA BRUNETTA

Da piccola desideravo più di ogni altra cosa al mondo di suonare in una band al femminile. Sono cresciuta col mito delle Hole (anche se c’era un uomo nel gruppo e non era Courtney Love!), ma non ho mai disdegnato la follia delle Spice Girls. Poi ho avuto anche una fase Destiny’s Child e da grande ho scoperto le Ronettes e le Supremes: forse il vero girl power era il loro a pensarci bene! Tornando agli italici confini, in fase universitaria ho imparato ad apprezzare una formazione punk rock, le Lola And The Lovers: Lola is pissed off, Italian Beauty, Le vocali. Chitarrista e cantautrice del gruppo era Sofia Brunetta, che nel frattempo ha intrapreso una carriera solista e ha presentato il suo primo album Former, anticipato dai singoli Arthur and I e Low. Del punk rock delle Lola è rimasto ben poco, ma la svolta “indie” e i richiami soul non ci lasciano indifferenti. Per capire meglio questo cambiamento abbiamo deciso di interpellare la diretta interessata, per parlare di Former e non solo.




Da pochissimo è uscito il tuo primo album da solista Former, anticipato dai singoli Arthur And I e Low. Si nota subito una differenza notevole con il tuo passato punk rock, sia nei suoni che nei testi: Former è frutto solo di un cambiamento musicale o anche a livello personale?

La musica è la mia vita, l’una e l’altra sono una cosa sola e tutto ciò che scrivo è frutto di esperienze. Direi quindi che è un cambiamento personale, che si riversa in musica.


Sei stata per anni cantautrice e chitarrista del gruppo Lola And The Lovers, mentre dal 2012 hai deciso di intraprendere la carriera solista: cosa ha mantenuto la Sofia odierna del periodo “Lola’s”? E pensi di tornare a suonare con le ragazze un giorno?

Ho mantenuto sicuramente la voglia di fare musica perché mi fa stare bene, mi diverte e mi apre al mondo, e poi l’amore per il live, che è sempre stato fondamentale con le Lola.
Spero tanto di riprendere a suonare con le ragazze, e mi auguro che avverrà presto, compatibilmente con le scelte di vita e gli impegni di ognuna.


Hai aperto i concerti di artisti “indie” come Amor Fou, Hugo Race, A Toys Orchestra e lo scorso anno l’unica data nel Sud Italia della cantautrice americana Cat Power: secondo te nell’epoca di Spotify e della condivisione della musica sui social, ha ancora senso parlare di musica indipendente? Non pensi che la rete possa “contaminarne” in qualche modo l’autenticità?

Purtroppo, se non ci fosse la rete, in un’epoca in cui i talent hanno monopolizzato radio e televisione, non ci sarebbe via d’uscita.
Il panorama indipendente in Italia resiste, seppur faccia meno numeri rispetto a qualche anno fa.
A questo punto, la cosa migliore è sfruttare al massimo social e Spotify ed utilizzarli come mezzo per promuoversi il più possibile ed entrare nell’ottica che si devono fare molti concerti per recuperare il budget che un tempo potenzialmente si recuperava con le vendite dei dischi. Insomma bisogna lavorare duro e sporcarsi le mani, molto più di prima!


Hai vissuto per un anno a Montréal, una delle capitali internazionali dell’indie rock. Provi nostalgia ripensando a quest’esperienza di vita all’estero? E cosa hai portato nella tua musica di quel contesto? 

Provo un po’ di nostalgia, ma è stato un grande arricchimento personale, che mi ha portato a vedere tanti aspetti in modo diverso.
Purtroppo, in un paese come l’Italia, che pensa a fare tagli innanzitutto sulla cultura, quella più istituzionale, figuriamoci se si riconoscerà il giusto valore alla musica indipendente.
E’ radicato nel nostro retaggio culturale, produciamo cultura per rivenderla a due lire all’estero, oppure ce la teniamo a casa ad ammuffire, senza garantirle la giusta tutela.


Former contiene 10 brani, tutti rigorosamente scritti in inglese: la tua scelta è dovuta alla voglia di raggiungere un pubblico più vasto di quello italiano o dalla difficoltà di adattamento della nostra lingua al cantautorato contemporaneo?

L’inglese è da sempre stata la mia lingua “musicale” per gli ascolti che hanno contraddistinto la mia formazione, sin da piccola. A casa mia si ascoltava molto jazz, ad esempio. E’ stata quindi una scelta abbastanza naturale, non facile tuttavia, perché ho dovuto esercitarmi con la lingua, con la pronuncia, ma un periodo all’estero mi è stato di grande aiuto. La cosa bella dell’inglese, per me, è che nonostante sia molto meno poetico dell’italiano, è universale. Tuttavia sperimenterò presto anche con l’italiano, e magari anche con il francese, viste le mie origini francesi.


Per concludere, come racconteresti ai nostri lettori Former in poche righe? 

Un melting pot di suoni, generi e stati d’animo. 10 tracce che raccontano incontri, separazioni, viaggi e mutamenti degli ultimi 3 anni. 






venerdì 12 giugno 2015

WANNABE A BLACK F.I.G.A: AMY WINEHOUSE

Ero una ragazzina paffuta. Lo sono sempre stata e non me n’è mai fregato niente. Anche se i ragazzini mi prendevano in giro, io mi giravo dall’altra parte e continuavo per la mia strada. D’altronde Etta James ed Ella Fitgerald non erano mica delle silfidi, ma spaccavano il culo a chiunque con la loro musica. Il grasso divenne un problema per me nel 2004 . Nel 2003 avevo pubblicato il mio primo album, Frank, che faccio fatica a riascoltare oggi perché non capisco come possa essere uscito da me (o meglio dalla me di oggi). A Frank devo tutto però: mi ha dato il successo e mi ha permesso di far conoscere la mia musica dopo anni di dura gavetta. Sempre a Frank devo l’acutizzarsi  dei miei disturbi alimentari. Quando i tabloid pubblicavano le foto della “grassoccia” ragazza di Enfield che stava scalando le classifiche inglesi, io iniziai a vedermi grassa e il peso un problema a cui non avevo mai pensato. Avevo dedicato anni a perfezionare la mia arte, la mia musica e ora venivo giudicata non per quella, ma per il mio corpo, come una qualsiasi modella da quattro soldi. Decisi che dovevo cambiare, che era necessario prendermi una rivincita su quei giornali spazzatura. Inizia a perdere peso, ma lo feci nel modo sbagliato, però ero contenta perché mi sembrava di stare meglio. Una sensazione di benessere solo apparente e che ben presto svanì.





Nel 2006 pubblicai Back to Black, il successo fu enorme e ne fui travolta. Ora ero magra, un modello da imitare per le ragazze, ma dietro quella mia magrezza c’era solo dolore. Provai a dimenticarlo con l’alcool, con la droga, ma quel senso di inadeguatezza non passava mai. Pensai di averlo superato grazie all’amore per Blake. Lo sposai pensando non ci saremmo mai lasciati, nel 2007. Nel 2009 arrivò il divorzio invece e cercai di superare il dolore della separazione con un seno nuovo: ancora una volta, cercavo di migliorare il corpo quando era l’anima da “aggiustare”. Quando seppi che Blake aveva trovato una nuova compagna, per me fu troppo e provai anche a riconquistarlo, ma love is a losing game. Allora cercai di trovare una consolazione nell’unico amore che non mi avrebbe mai tradito, la musica. Purtroppo gli eccessi avevano ormai consumato sia il corpo che l’anima. Provai a rimettermi in carreggiata, a pubblicare un terzo album, ma l’ansia era troppa e le attese del pubblico troppo grandi per me. Un giorno mi ritrovai sola a casa, ho alzato il gomito sì, ma quando mi sono addormentata non pensavo non mi sarei più risvegliata. Nel sonno mi sentivo leggera, le ansie superate, l’inadeguatezza un lontano ricordo. Se ci penso, fui io a decidere di non volermi più svegliare. Sono come la bella addormentata, ma non chiamatemi principessa: io ho l’anima nera, sono The Lioness,e come tale voglio essere ricordata!



martedì 9 giugno 2015

LA CHIRURGIA ETICA

Recentemente ho letto “Diario del seduttore” di Kierkegaard e da ragazzo al Liceo rimasi affascinato dalle sue elucubrazioni sul passaggio dallo Stadio Estetico a quello Etico, con la rinuncia ad ogni forma di piacere edonistico per intraprendere una vita “religiosa”, basata sulla responsabilità. Il suo AUT-AUT però non l’ho mai concepito: scegliere tra una vita fatta di piaceri ed una di rinunce non fa per me…nel senso che edonista nacqui ed edonista morirò!
Mai avrei immaginato che si potesse richiamare in musica la filosofia di Kierkegaard, finché non ho scoperto una giovane band salentina: La Chirurgia Etica. Li ho ascoltati per la prima volta in occasione dell’ultimo Rainbow Day, dopo che varie volte non ero riuscito ad assistere ai loro concerti per imprevisti vari…tipo mal di testa cronico da vodka (da buon edonista)! Finalmente ho trovato dei giovani musicisti che compongono testi in italiano, cosa rara nel panorama indie odierno: l’italiano, si sa, è lingua difficile da maneggiare in musica, perciò si predilige troppo spesso il più “comodo” inglese. Affascinato quindi dai richiami filosofici, dalle rimembranze liceali e da una musica di qualità (elemento principale) ho deciso di dedicare a questi giovani musici un post, in occasione dell’uscita del loro nuovo singolo Caro Signor K.




La Chirurgia Etica richiede già una piccola analisi sull’origine del nome. A quanto pare, l’ispirazione è venuta da una frase di Alessandro Bergonzoni: “Io sono per la chirurgia etica: bisogna rifarsi il senno”. Un invito a ricercare l’essenza della cose, senza fermarsi alle apparenze e alla vana esteriorità. La band è composta da 5 “giovanissimi” musicisti (che contribuiscono così ad accrescere il mio senso di vecchiaia incalzante!): Petit Papillon (Pianoforte&VOCE), Giorgia D’Alessandro (Chitarra&Percussioni), ChristiAne Effe (Autrice dei TESTI, Synth & Chitarra ritmica), Dario Santantonio (Chitarra) e Lorenzo Caraccio (Basso). Esordiscono nel 2014 con il loro primo singolo Ti sei poi abituato alla fine, che dà anche il nome alla loro prima stagione di live, da cui si evince lo stile che li contraddistingue: fresco, ma non leggero, data la profondità dei temi trattati.
Stile che si definisce meglio con il secondo singolo Caro Signor K, che anticipa l’uscita del loro primo EP AUT-AUT. Il Signor K ricorda per certi versi l’inetto descritto da Svevo, un uomo incapace di afferrare la vita e dare un senso alla sua esistenza. Il singolo è accompagnato da un video realizzato da Luca Melcarne e Antonio Cavallo, presentato con un’interessante ed insolita campagna itinerante per le strade di Lecce: geniale l’idea dei televisori vintage disseminati nel centro storico!

La fusione di indie-rock, testi italiani mai banali e richiami filosofici rende unico lo stile di questa giovane formazione che a parere delle KreTine farà molta strada…e il parere delle KreTine è sacro, quanto i consigli sul bon ton di Lina Sotis!


Per info sulla band, vi consigliamo la pagina Facebook:
https://www.facebook.com/pages/La-Chirurgia-Etica/652056554853641



domenica 7 giugno 2015

LA LECCE FASHION WEEK

«KreTine, vorreste partecipare alla Lecce Fashion Week
Un invito ad un evento mondano le KreTine non lo rifiutano mai…specie se si parla di moda! Spesso abbiamo difficoltà ad abbinare i colori e scegliamo outfit che sembrano più adatti ad uno spettacolo di drag queen, ma nel complesso anni di letture dei vari Vogue, Vanity Fair e Donna Moderna qualcosa ce l’hanno insegnata.
L’ultima volta che abbiamo partecipato ad una Lecce Fashion Week, ci siamo poi ritrovati sulle pagine di Chi, alle spalle di una giunonica Romina Power di bianco vestita. Il nostro pensiero è andato subito a lui: il direttore, Alfonso Signorini! Cosa avrà pensato di noi? Ci avrà dato delle cretine senza K e T maiuscola? E soprattutto sarà rimasto affascinato dalla nostra “indiscutibile” bellezza?

La Lecce Fashion Week è una due giorni dedicata alla moda. Dei due giorni in questione possiamo sceglierne solo uno: sabato, perché domenica una KreTina farà il suo debutto teatrale e non c’è Fashion Week che regga di fronte a Mini Pimer che recita!
Il dibattito delle KreTine nei giorni precedenti all’evento è tutto su un unico tema: cosa indossare? Il dress code impone un certo stile, quindi aboliti jeans e sneakers: sfideremo l’afa leccese in nome dell’eleganza e che Coco Chanel ci aiuti dall’alto dei cieli!
L’orario di inizio è alle 21, quindi decidiamo di darci appuntamento alle 20 per raggiungere con calma la location e, soprattutto, trovare dei posti a sedere: tre ore in piedi su un tacco dodici è sfida che non possiamo vincere! I buoni propositi vanno subito a farsi benedire però: ci ritroviamo con mezz’ora di ritardo, causa preparativi lunghi e minuziosi (MAISIA presentarsi ad un evento del genere col capello o il trucco sbagliato!).
L’evento si terrà in pieno centro, nella splendida Villa Comunale, quindi per evitare di girare per ore a vuoto in cerca di parcheggio, optiamo per una salutare passeggiata. Il problema è che camminare coi tacchi nel centro storico di Lecce è impresa ardua: il rischio di rimanere incastrate tra le tipiche “chianche” leccesi è troppo elevato, quindi ci spostiamo con la dovuta cautela per evitare sgraditi incidenti di percorso. Arriviamo alle 21, ovviamente di posti a sedere nemmeno l’ombra, ma dopo un insensato vagare di qualche minuto, riusciamo finalmente a trovare un posto a sedere grazie all’intervento salvifico di un magnanimo addetto a non si sa cosa.

I preparativi fervono e alle 21:30 la sfilata ha inizio. Si parte con una performance di ispirazione parigina, con abiti voluminosi e modelle che simulano una danza barocca tra le colonne di un altare neoclassico. Seguono altre collezioni, in genere di giovani stilisti pugliesi, che non è un male, anzi. Tra i tanti, ci colpisce la giovane Silvia Dongiovanni, che già avevamo avuto modo di apprezzare alla precedente Lecce Fashion Week con il suo marchio GroundGround: ci piace l’idea di una moda “etica”, che lanci anche un messaggio sociale, come l’importanza del ritorno alla terra e a quella natura da cui tutto ha origine.
Non essendo Rosanna Cancellieri o Cinzia Malvini, giornalista di moda de La7 e di Book Magazine, che riveste il ruolo di presentatrice della serata, non ho competenze “tecniche” sul tema, di conseguenza mi lascio affascinare dalla musica di Anthony and the Johnsons, Cocorosie, Depeche Mode e un abbondante Stromae: bisognerebbe creare un genere a sé, la “musica da sfilata”!
Le mie KreTine rimangono affascinate dalla performance di Antonio Tarantino, noto hairstylist leccese, e dalla sfarzosità dei suoi abiti: capolavori totally handmade realizzati in soli 14 giorni, chapeau!
L’evento si conclude alle 23:30 e mentre la folla di presenti si dirada, noi decidiamo di affogare la nostra sete di moda nell’alcool: via tacchi e papillon vari, ritorniamo alla nostra comodità quotidiana!

Giudizio finale delle KreTine sulla Lecce Fashion Week: evento promosso a pieni voti, quindi complimenti agli organizzatori e all’ideatrice Elisabetta Bedori…peccato solo per la mancanza di aitanti modelli maschili: le KreTine (e non solo!) avrebbero gradito! 



giovedì 4 giugno 2015

DA URO A POCCA!

La prima volta in cui ho ascoltato gli URO, mi hanno lasciato disorientato. La musica strumentale non l’ho mai capita fino in fondo: belle atmosfere sì, ma l’assenza di una voce facevo fatica a concepirla! Prevenuto come non mai, mi sono quindi fidato del parere della mia socia Mini Pimer, che già conosceva il gruppo e mi invitava ad ascoltarlo, quindi a settembre ho assistito per la prima volta ad un loro concerto. Il disorientamento non è qualcosa da intendere in maniera negativa: ogni volta che si approccia qualcosa di nuovo e insolito siamo disorientati ed è normale sia così! Ascoltandoli, ho capito che la voce non è poi sempre fondamentale e che l’unione di “sfoghi sonici e cinematismi post-rock, mesmerismi math e scenari ambient, malignità kraut e diluizioni psych” (non sarei mai riuscito da solo ad arrivare a tanto, quindi mi sono affidato alle fonti ufficiali della band) non mi dispiaceva affatto, anzi…
Ho iniziato quindi ad informarmi sugli URO e ho scoperto che: sono nati a Lecce nel 2011; nel 2012 si sono esibiti sul palco dell’Italia Wave, dopo aver vinto le selezioni regionali in Puglia; nel 2013 hanno pubblicato il loro primo EP URO.
Di recente li ho rivisti con le mie KreTine in occasione della presentazione del loro nuovo EP Pocca! e proprio in quest’occasione ho deciso che sarebbe stato un bene parlarne nel nostro blog.

Da poco è uscito il vostro ultimo EP Pocca!, nato dalla collaborazione con il duo elettronico .corridoiokraut. La fusione di rock e suoni elettronici sembra essere la tendenza del momento: come nasce la vostra collaborazione? E quali sono le altre novità rispetto al precedente EP URO?

I .corridoiokraut. altro non sono che il progetto “kraut-elettronico” (con tantissime virgolette) di Alberto, il nostro batterista, e Michele (per gli amici Rafelo). La collaborazione è nata alla vigilia delle registrazioni dei brani. Come URO avevamo a disposizione tre pezzi inediti per una durata di circa una trentina di minuti ed eravamo intenzionati a mettere tutto “nero su bianco”. Allo stesso tempo però non volevamo che l’urgenza di registrare sfociasse in un lavoro che avrebbe potuto essere incompleto per certi versi. Così, dato che nei nuovi brani era già presente una piccola deriva, diciamo così, “psych-ambient”, l’idea di uno split fra i due gruppi era dietro l’angolo. E così abbiamo riarrangiato parzialmente i brani in modo da far combaciare le diverse sonorità dei due gruppi e farne emergere i punti in comune più che le contrapposizioni, far suonare tutto come se fosse opera di un unico gruppo allargato insomma. A questo aspetto poi abbiamo dedicato molto tempo durante la preparazione del live.





La dimensione “live” sembra essere a voi molto congeniale. Tra i grandi palchi e i piccoli club in genere si preferiscono i secondi per il loro fascino, ma si aspira giustamente ai primi: quali ricordi vi portate dietro dall’esperienza su un grande palco come quello dell’Italia Wave? E nei piccoli club vi sono capitati episodi particolari durante i live?

L’attività live è la base di tutto. Un gruppo non può dirsi tale se non si esibisce dal vivo. I piccoli club, al di là del fascino, sono di fatto l’unico modo che ha una band per farsi le ossa e per farsi conoscere. Ci sono ogni giorno persone che spendono tempo, soldi e fatica in tanti piccoli locali e circoli in tutta Italia per promuovere un certo tipo di musica ed un certo tipo di band.
Non so se per quanto ci riguarda quella di Arezzo Wave si possa definire un’esperienza da grande palco. Certo, è stata una delle nostre prime uscite fuori regione a pochi mesi dalla formazione del gruppo, ed è servita molto anche a “far girare” il nome URO, ma guardando strettamente all’esibizione, abbiamo visto giornate dell’arte con più gente. Purtroppo fummo assegnati al palco mattutino e quindi di fatto eravamo solo noi, i tecnici (che, ad onor del vero, sono stati eccellenti ed estremamente professionali) e gli altri “sfortunati” gruppi.
Ricordiamo invece con estremo piacere l’esibizione al Festival Yeahjasi! a San Vito dei Normanni: grande palco, tanta gente interessata, bell’atmosfera.
Per quanto riguarda l’aneddotica relativa ai piccoli locali, potremmo citare quella volta che Alberto è caduto dal palco, oppure quell’altra in cui Jory si è ritrovato senza scarpe a metà concerto oppure quella serata in cui c’è stato uno struzzo che si aggirava fra gli spettatori. True story!


Il rock strumentale in Italia non è un genere molto diffuso, mentre all’estero gruppi come gli scozzesi Mogwai e i  canadesi Godspeed You! Black Emperor sono molto apprezzati, non solo dalla critica. Pensate che in Italia un genere come il vostro possa trovare uno spazio maggiore nel tempo?

La critica musicale, in Italia e non, soprattutto a livello “underground” va da sempre a ondate. Per un periodo si esalta un genere, poi un altro ed un altro ancora e di solito le band vanno e vengono. Poi ci sono gruppi come quelli che hai citato tu che li vedi dal vivo e ti asfaltano, che i generi li hanno creati, e lì non c’è critica che tenga.
L’Italia, dalla sua, riserva una sorpresa musicale in ogni angolo, progetti e musicisti svincolati da qualsiasi tipo di cliché. Non credo che vedremo mai sui principali mass-media tali persone. Senza scomodare alcuna teoria complottista, non li vedremo semplicemente perché alla maggior parte delle persone queste cose non interessano.
Alla fine non è questione di gruppi che fanno un genere piuttosto che un altro, ma di attitudine.
Lo spazio che potrà esserci in futuro per gruppi con quest’approccio “libero” alla musica, se tutti facciamo la nostra parte, è quello dei locali di cui parlavamo prima. Se si andrà ai concerti nei locali, se si compreranno i dischi delle band e così via, i posti in cui si suona live aumenteranno e così i gruppi che popoleranno questi locali.    


L’estate è alle porte e con essa arrivano i grandi Festival europei e italiani. Vi vedremo suonare in eventi estivi? E avete date in programma a cui tenete in particolare?

Attualmente non abbiamo grandi eventi alle porte, se non qualche live in zona. Purtroppo abbiamo anche dei “lavori veri” a cui stare dietro e riuscire a far combaciare tutti gli impegni è spesso molto difficile. In compenso però stiamo lavorando su un nuovo video di cui avrete notizie molto presto.


Ultima domanda: il grande perché delle KreTine! Perché nell’EP Pocca! una traccia si intitola gemelleOlsenOlsen? Anche voi siete rimasti traumatizzati dalle commedie trash anni ’90 di cui erano protagoniste le gemelline americane?   

L’evoluzione e la crescita delle gemelline ha turbato profondamente tutti noi e questo turbamento cosmico non poteva che riversarsi nelle spaziali melodie del pezzo.
In realtà, smettendo di essere faceti, il brano è parte di un concept più ampio, di cui fa parte anche l’altro pezzo .hoppiciolla., un concept basato sulla parodia dei titoli dei pezzi dei Sigur Ros, gruppo con cui condividiamo i connotati nordici.





martedì 2 giugno 2015

90's K-MEMORIES: LE PRINCIPESSE TRASH ANNI '90

C’è stata un’epoca in cui le principesse non aspettavano il principe azzurro in castelli dorati, in cui l’unica occupazione era pettinarsi i lunghi capelli in attesa del lieto fine, ma indossavano armature e impugnavano spade per salvare i loro regali uomini: gli anni ’90, l’era della tv commerciale e delle trash-fiction italiane a tema fiabesco!!!
Serie come Fantaghirò hanno insegnato alle bambine italiane che se vuoi l’uomo dei tuoi sogni devi essere pronta a tutto, anche a combattere contro delle streghe malefiche: le cougar! E che se una pietra inizia a parlare, non sei sotto l’effetto di acidi: tutto è possibile nella vita, basta credere nella magia! E soprattutto se non hai ancora capito la professione di Valeria Marini è perché lei non è umana, ma appartiene a una dimensione ultraterrena: è una fata, lo Spirito della Fonte!
I casi che prenderemo in esame oggi sono tre e cercheremo di capire se una KreTina può aspirare al ruolo di “principessa trash anni ’90”.

FANTAGHIRÒ  Se anche voi sognavate da bambine di trafiggere con una spada i vostri nemici e avete mantenuto il vostro spirito ribelle nonostante punizioni disumane (tipo guardare l’Albero Azzurro e provare a riprodurre un’araba fenice in cartoncino e plastilina), allora potete aspirare a diventare lei! Terzogenita del regno di “non si sa dove”, vive un’infanzia e un’adolescenza difficile, tra un padre-padrone e il fondo di un pozzo. Divenuta adulta, rifiuta il matrimonio combinato con il principe di Assabel e fugge nella foresta, dove viene formata all’arte del combattimento dal Cavaliere bianco, personaggio dalla dubbia sessualità che si scoprirà poi essere Strega bianca, nonché per alcuni periodi oca parlante. Qui Fantaghirò incontra per la prima volta l’amore della sua vita: Romualdo, il classico belloccio completamente rimbambito, che più volte verrà salvato da morte certa proprio dalla nostra temeraria principessa trash. In realtà la nostra eroina avrà varie sbandate per uomini diversi e in genere più affascinanti di Romualdo: bad boys come Tarabas (che non vi venga mai in mente di urlare il suo nome se non volete anni ed anni di sventure!) o il cavaliere errante Aries, con cui terminerà il suo percorso sentimentale.
Le vere nemiche di Fantaghirò però sono in genere loro: le cougar! Dalla Strega Nera (una straordinaria Brigitte Nielsen pre-alcolismo cronico e dipendenza dalla chirurgia plastica) che cercherà di rubarle Romualdo senza successo, a Xellesia, madre di Tarabas, che impedisce al figlio qualsiasi approccio al genere femminile.
Infanzia complicata, ribellione adolescenziale, vita sentimentale complicata, rapporti difficili con le altre donne: se anche voi le avete tutte, allora è lei la vostra principessa trash anni’90!





SORELLINA  La protagonista, Alisea, non è in questo caso una principessa di nascita, ma lo diventerà per matrimonio: una Ivana Trump del mondo fatato insomma! All’inizio della storia, infatti, è una fanciulla che vive nella foresta con i suoi tremilacinquecentonovantasei fratelli, cui non solo fa da sguattera tutto il giorno, ma si deve pure sentire chiamare “Sorellina”: una povera sfigata! La sua vita subisce una svolta quando il perfido mago Azaret rapisce i suoi fratelli e pur di salvare quei mostriciattoli che per anni le hanno succhiato anche il sangue, si offre a lui come schiava : oltre che sfigata, una pazza!
La giovane, sfigata e pazza, è però molto furba e riesce a fuggire dal castello del vecchio mago con i suoi fratelli (le zavorre!). Vagando nella foresta, conosce Demian, che si scoprirà poi essere un principe, di cui si innamora e presso una fonte magica i due si giurano amore eterno sotto gli occhi della Fata del lago. Ora uno pensa a una fata e immagina la leggiadria, una classe innata, una bellezza algida…e ti ritrovi Valeria Marini!
I due innamorati vengono però divisi, tuttavia ogni notte si ritrovano nei loro sogni grazie all’incantesimo della fonte magica e della nostra Valeriona (stella bionda), fino a che riusciranno a coronare il loro sogno d’amore con un matrimonio privo di accordo pre-matrimoniale.
Se sei sfigata, tendi un po’ alla demenza, però sei furba e ti accalappi il principe azzurro ricco sfondato, la tua principessa trash anni ’90 è lei!





DESIDERIA  Figlia del Re del drago, la nostra principessa vive un’infanzia serena a differenza delle nostre precedenti eroine. Le sventure si abbatteranno a raffica su di lei in età adulta. Prima il padre vuole costringerla ad un matrimonio combinato, mentre lei è follemente innamorata del principe Victor, tenuto prigioniero nelle segrete del castello perché aveva tentato di vendicare la morte del padre, sovrano di un regno rivale, ucciso in guerra proprio dal Re del drago. Rifiuta quindi il trono che le spetta di diritto e l’anello del drago, fonte del potere supremo, per amore di Victor, che nel frattempo cade sotto l’incantesimo della malvagia sorellastra Selvaggia, figlia di stregoni trasformati in lupi e adottata dal Re del drago, dopo essere stata ritrovata in fasce in un bosco di ritorno da una guerra vinta. La nostra Desideria però non si lascia abbattere e col fare battagliero che solo una ventenne Anna Falchi poteva impersonare, sconfigge la sorellastra e riconquista l’amore del suo Victor, oltre al trono.
Se sei combattiva, non scendi a compromessi, hai un rapporto complicato con tua sorella e riesci comunque a realizzare i tuoi sogni, è lei la tua principessa trash anni ’90!