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venerdì 17 luglio 2015

PERCHÉ GUARDARE I FILM DI WES ANDERSON FA BENE?

Se cercate un mondo privo di cattiveria e malizia, in cui ogni azione è compiuta in maniera innocente e mai volutamente per fare del male agli altri, abitato da personaggi naïf e vagamente nostalgici, con un senso dell’umorismo non accessibile a tutti, allora avete il dovere morale di guardare un film di Wes Anderson. Se siete hipster, o comunque pensate di esserlo, e vi piace la musica indie, forse l’avrete già fatto e ve ne sarete sicuramente innamorati.

Perché guardare i film di Wes Anderson fa bene? La risposta può essere riassunta con la descrizione di una scena. Suzy chiede a Sam un french kiss a conclusione del loro viaggio in Moonrise Kingdom, lui risponde con un “Let’s try” dopo aver improvvisato un goffo balletto sulle note di Le temps de l’amour di Françoise Hardy: musica proveniente da un giradischi a pile che la piccola Suzy ha portato con sé fuggendo di casa, insieme al suo gatto e ai suoi libri preferiti.




Ne I Tenembaum, un’eterea Gwyneth Paltrow interpreta il ruolo di Margot, figlia adottiva dell’avvocato Royal Tenembaum (un iconico Gene Hackman), che decide dopo anni di riunire la sua famiglia, fingendosi affetto da un cancro allo stomaco. Per tutta la durata del film, Margot fuma sigarette di marca Sweet Afton, in commercio solo in Irlanda: un oggetto feticcio, come il giradischi a pile di Suzy. Oggetto dell’amore segreto del fratellastro Richie, che tenterà il suicidio per l’impossibilità di coltivare questo sentimento, è affetta da una depressione cronica, che le ha impedito di coltivare il suo talento di drammaturga, confinandola in un triste matrimonio. I Tenembaum sono un elogio alla figura dell’inetto, del talento sprecato, del tempo perso dietro passioni stucchevoli: solo l’amore porta sollievo, anche se vissuto segretamente, come decideranno di fare Margot e Richie alla fine del film.




Riunire la famiglia è anche il motivo dominante de Il treno per il Darjeeling, in cui tre fratelli, un anno dopo la morte del padre, cercano di ricostruire il loro rapporto organizzando un viaggio in treno in India, per raggiungere il santuario dove anni prima aveva deciso di ritirarsi la madre. Tra i tre fratelli, il più piccolo, Jack (Jason Schwartzman), non riesce a dimenticare la sua ex ragazza, che ha lasciato a Parigi, e passa il tempo a riascoltare di nascosto la sua segreteria telefonica, di cui conserva ancora il codice segreto. Il viaggio dei fratelli si conclude sulle note di Les Champs Élysées di Joe Dessin.




Dell’esplosione di colori di Grand Budapest Hotel non mi è rimasto granché: sicuramente un piacere per gli occhi, ma della tensione emotiva dei precedenti lavori molto si è perso, ad eccezione della Madame Céline Villeneuve Desgoffe und Taxis (Madame D.) interpretata da Tilda Swinton.




Le storie di personaggi naïf, persi nei loro pensieri, bloccati dalla paura, dall’ansia, da sentimenti repressi, incapaci di aprirsi al mondo e che comunicano solo nella ristretta cerchia di affetti che li circondano, ricorrendo al viaggio come via di fuga ad una realtà che li opprime: è questo il motivo per cui guardare un film di Wes Anderson,  perché aiuta a ritrovare sé stessi nelle storie degli altri.

martedì 14 luglio 2015

MARCELLO CESENA E IL BARONETTO JEAN CLAUDE

Tutti ricordano il personaggio del baronetto Jean Claude in Sensualità a corte: i suoi litigi con Madre, finiti quasi sempre in tragedia; gli amori tormentati coi vari Renato (Batman), Stefano (Dart Fener), Armando (Diabolik), Titti (Robin Hood) e Diana (Wonder Woman); il rapporto complicato con la moglie Cassandra, che tenterà più volte di trasformare il baronetto in un campione di virilità, con risultati a dir poco scarsi. Un simpatico inetto di fine Settecento,  insomma.
Curiose di sapere le sorti dell’amato baronetto, le KreTine hanno deciso di intervistare l’attore e regista Marcello Cesena: dal suo passato coi Bronkoviz, alle esperienze come  regista con Diego Abatantuono in Mari del Sud e Aldo, Giovanni e Giacomo in Il cosmo sul comò. Un dilemma su tutti: riuscirà Jean Claude a coronare il suo sogno d’amore?  





Il personaggio di Jean Claude in Sensualità a corte ti ha reso celebre al pubblico più giovane. Le KreTine più attempate ti conoscevano e apprezzavano già ai tempi dei Bronkoviz, compagnia fondata con Maurizio Crozza, Carla Signoris, Ugo Dighero e Mauro Pirovano. Cosa pensi della comicità italiana di oggi, sempre più lontana dal teatro, dal cinema e dalla stessa tv e concentrata sempre più sul web?

Oramai, lo confesso, seguo più la comicità sul web che quella televisiva. Diciamo che la scomparsa dalla TV di gran parte dei programmi comici “storici” mi ha aiutato molto in questo. Trovo che il web sia un palcoscenico implacabile, perché quando guardi, per dire, una web-serie, sei solo e concentrato molto più che davanti alla TV. Quindi se la noia serpeggia, lo capisci subito.


Hai studiato alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova e debuttato in teatro accanto Giorgio Albertazzi nell’Enrico IV di Pirandello. Secondo te esiste una ricetta per riportare il pubblico più giovane al teatro?

La ricetta è puntare in maniera decisa ad un pubblico giovane. Mentre il teatro, come la televisione generalista d'altronde, ha continuato a puntare al pubblico degli abbonati, cioè ad un pubblica via via sempre più anziano, proponendo cose il più delle volte vecchie e brutte.


Come regista cinematografico hai diretto Diego Abatantuono in Mari del Sud (2001) e Aldo, Giovanni e Giacomo in Il cosmo sul comò (2008). Per un attore comico è complicato rapportarsi sul set a colleghi nel ruolo di regista? E ti vedremo presto a dirigere un nuovo film?

Per me è stato molto naturale il passaggio alla regia. In fondo, da regista e attore, io e gli attori dei miei film parliamo la stessa lingua e ci capiamo al volo. Spero di girare presto un nuovo film.


Hai diretto alcune tra le più note campagne pubblicitarie degli ultimi anni, con testimonial come Gigi Proietti, Fiorello, Luciana Littizzetto, Paola Cortellesi, Claudio Bisio e tanti altri. Hai mai ricevuto critiche da quegli ambienti radical chic che guardano spesso con disprezzo a tutto ciò che è “commerciale”? E come hai risposto nel caso?

Da moltissimo tempo, la pubblicità è considerata un linguaggio trainante per molte altre forme espressive. Di conseguenza, non esiste più alcuno snobismo in questo senso, anzi.


Per concludere, il “grande perché delle KreTine”: perché in Sensualità a corte il povero Jean Claude non giunge mai a coronare il suo sogno d’amore con un bel fustacchione, in pieno stile telenovela sudamericana (pensiamo al rimpianto Edoardo Palomo in Cuore Selvaggio)?


Jean Claude non coronerà mai il suo sogno d’amore, esattamente come Silvestro non mangerà mai Titti: è la loro natura!

venerdì 10 luglio 2015

90’s K-MEMORIES: TAKE THAT

Se nella prima metà degli anni ’90 vi è capitato di assistere a scene di delirio collettivo, con ragazzine urlanti e piangenti ad occupare le strade e a presidiare l’ingresso di alberghi romani o milanesi, sappiate che la causa di tali fenomeni paranormali erano loro: i Take That. Il gruppo, nato nel 1990 nella ridente cittadina di Manchester, ha sconvolto le vite (e gli equilibri ormonali) di milioni di teenager italiane ed è stato causa di picchi di omosessualità rilevanti nella popolazione maschile che ha vissuto la sua adolescenza in quegli anni. Basti pensare al video di Pray, in cui i cinque ragazzi adornano mezzi nudi uno scenario da favola e ogni tanto vengono travolti da getti d’acqua o si rotolano nella sabbia, panandosi come delle cotolette.




Come nella migliore tradizione popparola, ogni ragazza aveva il suo Take That preferito, quello che ad ogni sua apparizione provocava pianti e scenate isteriche, la cui icona (poster gigante a grandezza naturale) andava gelosamente custodita in camera. Dei cinque componenti originari, i più apprezzati erano due: Robbie Williams, causa del primo scioglimento della band dopo la sua prematura uscita dal gruppo nel 1995, che incarnava lo stereotipo del “bad boy” alla Dylan di Beverly Hills, ma con un tocco di follia in più; Mark Owen, che incarnava invece lo stereotipo del bravo ragazzo, viso angelico, capello biondo e aria da fidanzatino che piace tanto alle mamme. Tra i due opposti, Gary Barlow, autore della maggior parte dei testi della band, Howard Donald e Jason Orange, dei quali non ricordo le doti, ma uno dei due aveva i dread forse.
I Take That sono come i gatti: hanno avuto diverse vite, ma dopo vari scioglimenti e reunion sono tutt’ora attivi musicalmente. Quelli che ci interessano maggiormente sono quelli attivi tra il 1990 e il 1995, degli album Everything Changes e Nobody Else e di singoli che hanno accompagnato i nostri sculettamenti di quegli anni (Relight my fire e Sure su tutti). Chi non ha scritto sul diario struggenti lettere d’amore con alle orecchie le cuffiette del walkman e le tristi note di Back for good?




L’Italia fu sconvolta da questo fenomeno come non lo era stata dai tempi dei Duran Duran. Ricordo un Sanremo con Pippo Baudo intento a frenare i bollori delle ragazzine presenti nella platea dell’Ariston. Soprattutto non dimenticherò mai una puntata di Non è la Rai in cui erano ospiti e le ragazze erano più scatenate del solito, tipo cavalle drogate prima di una corsa! Quando nel 1995 Robbie Williams decise di lasciare il gruppo, per un’intera generazione il cuore cessò di battere per un istante: non era infarto, ma la consapevolezza che stava finendo un’epoca, quella della spensieratezza, degli amori da diario e della musica dai walkman. I quarantenni che girano oggi per l’Europa non fanno che accrescere quel senso di vuoto e di nostalgia in milioni di ex teenager made in ‘90s: meglio ricordare il passato, quello dei goderecci anni ’90, piuttosto che affogare nel triste presente!

martedì 7 luglio 2015

LA "REVOLUCIÒN DEL'AMOR" DEGLI ESPAÑA CIRCO ESTE

L’anno scorso abbiamo assistito al live degli España Circo Este, con la convinzione di ascoltare un gruppo di ragazzi spagnoli. Con tale convinzione, a fine concerto improvvisiamo uno spagnolo maccheronico per avvicinarli, da buone KreTine d’assalto, e dopo un fugace scambio di battute ci accorgiamo che sono Italiani e fingono soltanto di essere Spagnoli: KreTine gabbate, KreTine sfortunate! A un anno di distanza, è uscito il loro primo album,  La Revoluciòn del’Amor, che porta avanti la rivoluzione “tango-punk” di Circo Este Ciudad e Bucatesta, i precedenti EP del gruppo. Nel frattempo, questi “millantatori” hanno calcato alcuni dei palchi più importanti d’Italia e d’Europa e aperto i concerti di artisti come Manu Chao e Gogol Bordello.

Solo per il fatto di averci ingannato meriterebbero un post di critiche negative (tipo “la loro musica ricorda i migliori scarichi dei bagni chimici di un festival estivo”), ma le KreTine sono obiettive e tendenzialmente buone, quindi l’intervista che segue non conterrà commenti acidi di nessun tipo. In fondo, gli España Circo Este ci piacciono e tanto anche!



   


Le KreTine hanno avuto modo di conoscervi e vedervi dal vivo un anno fa, in una tappa del Bucatesta Tour. In quell’occasione avete gabbato noi come gli altri presenti fingendovi spagnoli. Non temete una nostra vendetta rilasciandoci quest’intervista (che potrebbe essere usata contro di voi) ? E ci cascano proprio tutti o siamo state tra le poche credulone?

Il progetto España Circo Este è stato fondato in Sud America da Marcelo e da una band di Argentini scapestrati, che a seguito di una serie di peripezie si è trasformata in romagnola. Possiamo quindi cavarcela affermando che la band ha semplicemente imparato l’italiano?


In tre anni di attività in giro per l’Italia e l’Europa avete tenuto oltre 350 concerti, calcando alcuni dei palchi più ambiti (Rivolta, Estragon, Carroponte, Deposito Giordani, Palearizza, Apartaménto Hoffman, Sherwood Festival, S9). Quest’estate aprirete i concerti di grandi nomi della musica internazionale (Manu Chao, Gogol Bordello, Shaggy). Per ragazzi così giovani com’è stato il salto dai palchi di provincia ai grandi festival europei? Vi siete montati la testa o continuate a mantenere i piedi per terra?

Su questi super palchi ci siamo arrivati dopo anni di gavetta e con la testa ben avvitata sulle spalle. Per chi non ha spinte da fuori è l’unico modo per arrivarci. Lo scorso 20 giugno a Monza, insieme a Manu Chao, una volta scesi dal palco la nostra attitudine e mentalità non si è spostata di un centimetro. Abbiamo fame di palchi e montarsi la testa adesso significherebbe semplicemente bruciare il percorso fatto e precludere ogni possibilità di crescita.


A gennaio avete presentato il vostro primo album, La Revoluciòn del’Amor, che segue i precedenti EP Circo Este Ciudad e Bucatesta. Con il nuovo album continua la vostra rivoluzione “tango-punk”? E cosa lo differenzia dai precedenti lavori?

Risposta breve: sì, il tango-punk è più forte che mai negli España Circo Este!
Per chi ancora non ci avesse visto/ascoltato, la parola tango-punk rappresenta l’unione delle nostre influenze: Marcelo viene dalla patchanka e dall’industrial, Jimmy dal metal e dall’elettronica,  Felix dall’indie e rock’n’roll mentre il Señor Missi dalla musica classica. In questo album finalmente abbiamo potuto incidere questa unione di generi così differenti.
Oltre che per il sound, La Revoluciòn del Amor è un indubbiamente un disco più maturo e pensato rispetto ai precedenti. Porta con sé un messaggio importante, che ribadiamo più volte durante i concerti di questo tour, ed invitiamo tutti a venire ad ascoltarlo ed interiorizzarlo.


La forza degli España Circo Este sta però nella dimensione live. Un live “pazzo, colorato e tiratissimo”. Come vivete il rapporto con il pubblico? In genere sarete presi d’assalto dalle ragazze a fine concerto: avete qualche aneddoto al riguardo da raccontare?

Come avrete notato, il nostro live è tutto fuorché introspettivo, cerchiamo continuamente l’interazione con il pubblico e la sua energia è fondamentale per la riuscita di un concerto.
Mi piacerebbe raccontarvi di serate all’insegna del sesso, della droga e del rock’n’roll, ma senza scendere troppo nelle nostre vite private, ti dico solamente che gli España Circo Este hanno una media di figli per componente elevatissima: 0,75 !
Da qui traete le vostre conclusioni…


Per concludere, “il grande perché delle KreTine”: perché vi fingete spagnoli, traendo così in inganno povere sventurate come noi?

La risposta è semplice: il live in spagnolo rappresenta un gioco che funziona e che piace al pubblico. Potrei dirvi che è solo per l’esterofilia italiana, ma il pubblico ha risposto ed interagito molto bene anche all’estero.  

domenica 5 luglio 2015

PREJUDICE CHIEDE, PRIDE RISPONDE

Prejudice: «Come ti chiami?»
Pride: «Pride, piacere di conoscerti?»
Prejudice: «E che ci fai qui a Foggia?»
Pride: «Sono qui per manifestare per i miei diritti…diritti che mi vengono negati e per cui combatto da anni (con risultati scarsi ahimé)…per esempio vorrei sposare il mio compagno, con cui convivo da 5 lunghi anni, metter su famiglia, ma la legge ce lo impedisce»
Prejudice: «Sposare il tuo compagno? Ma due uomini non possono sposarsi…è contro natura! Perché se vuoi metter su famiglia non sposi una donna invece?»
Pride: «Amo un uomo e, con tutto il rispetto per le donne (che adoro!), ho sempre amato uomini e immaginato la mia famiglia con lui»
Prejudice: «Ma che famiglia sareste? Non potreste avere figli…e poi i bambini hanno bisogno di una mamma e un papà…due papà, due mamme, perché? »
Pride: «Perché la famiglia è amore, che siano due papà o due mamme, l’importante è che quei bambini siano amati e crescano felici. Il mio compagno sarebbe un padre perfetto, io anche, i nostri figli sarebbero amati»
Prejudice: «Ma la natura ve lo impedisce. Due uomini non possono procreare. I bambini non si comprano. Tu non sei nato da una donna e hai avuto una madre e un padre? Perché negare questo ad un bambino?»
Pride: «Ho avuto un padre e una madre sì, ma l’amore che loro hanno dato a me, io potrei darlo a mio figlio. A nostro figlio, perché essere buoni genitori non dipende dal sesso. I figli valutano i genitori per quello che hanno dato e insegnato loro, non per l’organo che portano tra le gambe. E poi i bambini non si comprano: si vogliono in due e se il desiderio di famiglia è comune, solido e sano perché non realizzarlo»
Prejudice: «Ma come pensate di educarli questi bambini? Oggi siete qui truccati, mezzi nudi, parrucche in testa e tacchi ai piedi…un bambino sarebbe traviato da questo e non crescerebbe sano…avete mai pensato a quello che si sentirebbe dire dai compagni di scuola? No, non sarebbe sano e giusto!»
Pride: «Una parrucca e un po’ di trucco non pregiudicano la bontà di un genitore. Se anche mio padre si fosse truccato o imparruccato, sarebbe stato comunque un ottimo padre. Dovresti guardare oltre, dietro il trucco ci sono persone, spesso splendide persone e ottimi genitori. E se mai un giorno avessi un figlio (e lo avrò), gli direi di lasciar perdere quei compagni di scuola…sarebbe preso in giro anche se fosse grasso, con le orecchie a sventola, i denti storti, i capelli rossi e le lentiggini…perciò sarebbe sano e giusto, perché la stupidità e l’ignoranza esistono da sempre e sempre esisteranno, l’importante è non farsi condizionare da esse e condurre la propria vita come la si desidera»
Prejudice: «No, non mi convinci! Continuerò a pensarla così…»
Pride: «Ok, ognuno è libero di pensarla come vuole. Ma tu come mai sei qui a Foggia? »
Prejudice: «Per accompagnare mio fratello alla parata! »

Pride: «Ah, ecco…»



giovedì 2 luglio 2015

THE BLACK SPOT

Quando decidiamo di scrivere un post su un gruppo, in genere siamo noi a sceglierlo e a farci avanti per ottenere un’intervista. Non è questo il caso dei The Black Spot, giovane band pugliese, cresciuta nel “musicalmente prolifico” brindisino, che ci ha inviato un po’ di brani per ascoltarli e fornire loro un parere. Premesso che non siamo critici musicali, l’ascolto è stato positivo, per cui abbiamo deciso di dedicare loro un post.
I The Black Spot sono una band in origine pop, salvo poi virare verso un rock alternativo, caratterizzato da suoni vintage e psichedelici, mescolati a sonorità elettroniche. Il gruppo è composto da Dario (chitarra e voce), Bartolo (batteria), Antonio (basso), Carlo (tastiere) e Alessandro (chitarre). A maggio hanno pubblicato il loro primo singolo Balla più di prima (Piccola Bottega Popolare), un invito a far ballare la creatività in un’epoca di crisi creativa universale. Per conoscerli meglio, abbiamo posto loro alcune domande, per cercare di capire cosa è passato per la testa a questi ragazzi per spingerli a contattare Vita da Kretine.




Siete stati il primo gruppo musicale a proporvi a Vita da KreTine per parlare della vostra musica (senza dover subire la nostra consueta azione di stalking). Siete sicuri di aver fatto la scelta giusta?

Se non sarà la scelta giusta, ci pagate una cena!


Presentatevi al nostro pubblico: chi sono i The Black Spot? E perché i nostri lettori dovrebbero ascoltare la vostra musica? Autopromuovetevi!

I The Black Spot nascono nel 2009, esattamente 6 anni fa, ma negli ultimi anni abbiamo iniziato un percorso di riflessione che ci ha portati a sperimentare diversi approcci aprendoci a diverse influenze. Siamo una band a cui piace cambiare, bisogna aspettarsi di tutto da noi.


È uscito da poco il vostro primo singolo “Balla più di prima”, che parla del dramma della crisi creativa universale, per stimolare un maggiore movimento del pensiero. Un tema più semplice no per un singolo d’esordio?

Avete ragione, è un pezzo molto orecchiabile ma abbiamo voluto sposare un tema forte e molto reale, non ci piace parlare di Baci Perugina.


Venite dalla provincia di Brindisi, territorio molto vivo dal punto di vista musicale negli ultimi anni, basti pensare ai Moustache Prawn o ai PLOF. Quali stimoli avete colto per la vostra musica dall’ambiente di provincia? E la provincia vi sta stretta?

La scena musicale della provincia di Brindisi ci ha insegnato ad avere sempre le orecchie aperte, la mente molto elastica e ad assorbire tutti i tipi di musica.
No, la provincia non ci sta stretta, nonostante si è sempre in giro a suonare anche fuori provincia per cercare altri stimoli e nuove conoscenze: casa è sempre casa!


Avete un’intensa attività “live”. Tra un concerto e un altro, pensate magari ad un EP? E avete già qualcosa di pronto nel cassetto che desiderereste pubblicare?

Ci sono delle idee in cantiere, si passa molto tempo in sala prove. Creare un CD/Ep è un lavoro molto impegnativo, non siamo frettolosi, vogliamo prenderci il tempo necessario.


Ultima domanda: vi siete mai sentiti “KreTini” sul palco o nella vita? E secondo voi, può una rockstar essere KreTina?


Essere KreTini può essere una filosofia per affrontare determinate situazioni in maniera istintiva. Forse noi siamo troppo pignoli, dovremmo essere decisamente più KreTini!